Nørresundby Gymnasium and HF

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Un poeta danese, H. P. Holst, recita: “Ciò che è perso all’esterno, verrà conquistato all’interno”. Con la perdita, durante la seconda guerra mondiale, di un terzo della popolazione e di alcune aree della Svezia, Germania e Norvegia che erano sotto il dominio danese, la Danimarca si ritrovò ad essere una distesa pianeggiante, ed il popolo una piccola comunità.

Forse ciò che più ci ha colpite in questo nostro viaggio di conoscenza ed osservazione del sistema scolastico danese, è la ricerca di uno stato di benessere e di conquista dell’autonomia personale, che trova luogo nelle forme dell’educazione.

Siamo in visita al Nørresundby Gymnasium and HF dal 22 gennaio al 2 febbraio con il progetto di Mobilità dello Staff Erasmus+ KA1  “INTO Europe TO INSET”: questo liceo è stato scelto accuratamente per l’attività costante di peer observation e supervisione, cioè pratiche virtuose di sostegno tra docenti, che possono condividere dubbi e difficoltà che quotidianamente nascono nella vita di classe.

Il primo ingresso nella scuola, nel buio di un mattino che qui tarda ad arrivare, ci ha lasciate senza parole: un monitor sopra la nostra testa, tra le varie notizie della giornata, ci dava il benvenuto chiamandoci per nome. Si è aperto davanti a noi uno spazio ampio, già popolato da studenti seduti ai tavoli o in divani a forma di casette, con pareti morbide cui appoggiarsi ed un tetto per chiudere in un bozzolo la conversazione di chi si siede. E’ d’obbligo togliersi le scarpe per sedersi, come sempre accade qui a nord quando si entra in casa di qualcuno. Si transita in una sala insegnanti che sembra una casa, con i tulipani sul lungo tavolo per pranzare e conversare, gli attaccapanni in cui lasciare le mantelle da pioggia dopo una lunga pedalata (qui ci si muove in bici, nonostante pioggia e freddo), la cucina, il caffè caldo, la frutta ed i quotidiani da sfogliare sul sofà. Non manca serietà, gli insegnanti lavorano tanto, sono coinvolti ma rilassati, informali nell’abbigliamento, aperti, per nulla freddi, sorridenti, di età molto più varie che in Italia.

Una danese illustre, Karen Blixen, parlando di sogni parla di libertà e dice: “Chi di notte sogna conosce un genere di felicità ignota al mondo della veglia…Sa anche che la vera bellezza dei sogni è la loro atmosfera di libertà infinita: non la libertà del dittatore che vuole imporre la sua volontà, ma la libertà fuori del suo controllo”. C’è nella educazione danese un grande desiderio di rendere gli studenti liberi ed autonomi: tocca ai ragazzini fermare il traffico davanti a scuola per far passare i compagni, due bimbe corrono verso l’ingresso della scuola elementare da sole, i colloqui non avvengono con i genitori al liceo, ma con gli studenti stessi. Controllare senza controllare, insegnare in modo euristico, induttivo, con tutti i rischi che questo comporta. Si svolge meno programma, forse i ragazzi sono meno competitivi, ma ci si domanda anche se nella vita che li aspetta dopo sia più importante che sappiano cooperare, risolvere problemi, di certo con meno informazioni a disposizione ma forti della capacità di reperire le fonti cui attingere. Una docente della scuola, responsabile del progetto di scambio, ci ha detto che “l’università deve insegnare a questi ragazzi a studiare davvero”, perché il liceo ha sviluppato altre abilità.

Questa scuola in cui il preside è un classicista che racconta ai suoi studenti l’Iliade recitandone in metrica il proemio e pronunciandolo con uno strano accento nordico ci ricorda  che dum docemus discimus, mentre insegnamo impariamo, e che l’Europa nasce davvero da radici antiche e comuni, che condividiamo come fiumi sotterranei, e questo è il senso della nostra esperienza qui: scoprirle e ritrovarle.

[Marcella Bursi, Annalisa Canarini, Elisabetta Grisendi]

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